Articolo dedicato a Ferdinando Scianna, alla sua fotografia.
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Perché mi sono innamorata di una immagine, di più immagini, di un fotografo? Perché di Ferdinando Scianna?
Un suo amico, Ivo Saglietti, altro grande fotografo mi dice: perché siamo tutti innamorati di Ferdinando Scianna. Risposta semplice evidente spontanea.Il mio innamoramento nasce 35 anni fa, quando curiosa della fotografia, con pretese da fotografa, velocemente abbandonate,
scopro un poster, in un negozio di affiche di Torino, con Marpessa appoggiata ad una barca di pescatori con le gocce di pioggia che sembrano accompagnare il silenzio della notte. Una rivelazione. Immediatamente alcuni segni mi riportano alla mia Sicilia: il vestito nero, la bellezza intensa e ritrosa, l’imbarcazione dei marinai del paese dove andavo in vacanza, il buio e la luce di un bianco e nero oltremodo seducente. Quell’ affiche grande almeno 1 metro per 80 è ancora lì da me in campagna a tenermi compagnia come a ricordare il mio primo amore.
Non scandalizzatevi voi intenditori di fotografia se non parlo di stampa “vintage”, di gallerie d’arte. Negli anni ’80 le immagini dei nostri più bravi fotografi erano conosciute dentro ai giornali, alle riviste, attraverso i poster, le “affiche” e di certo molte delle gallerie italiane non amavano ancora la fotografia, in particolare quella italiana, così tanto da inserirla sulle loro candide pareti. Fu da quel momento che iniziai ad indagare e a scoprire il lavoro di Ferdinando Scianna. Siciliano, colto, intellettuale, con uno sguardo inquieto in perenne seduzione verso il mondo, le donne, la sua terra. Il suo bagaglio di esperienza, di vita vissuta in quell’isola complicata, difficile, che riesce a partorire, dal suo ventre caldo in continua eruzione sorprendenti geni nella cultura, nell’arte, nella letteratura, nella fotografia, nel cinema.
Siciliano esule, migrante nel mondo alla ricerca della vita da fermare con la sua macchina fotografica che lascia l’impronta sempre, secondo me, della sua terra d’origine.Solamente un siciliano di razza pura come Scianna ha quel modo di osservare, quel modo di scoprire, di sentire, di far l’amore con chi ha di fronte. La Sicilia ti entra nella pelle, nel cuore, nel cervello per via del suo fascino misto ad un continuo arrovellamento per ciò che non vorresti vedere, sentire, sapere e che obbligatoriamente vive insieme ad una inarrestabile, viziata, pericolosa attrazione. Nelle fotografie di Ferdinando Scianna ritrovo la Sicilia di mio padre.
Se la fotografia è memoria allora si, si, si quella memoria è quella che io voglio ricordare per il suo bene e per il suo male. Guardare le fotografie di Scianna è come sentire il calore del mezzogiorno, con le sue ombre e le sue luci, è perdersi nei paesaggi di silenzio, è ritrovarsi nelle figure piegate dalla fatica, dal sole, è scoprire nei volti la densità e la pericolosità della bellezza, è perdersi nella morbidezza del nero di un vestito, di uno sguardo, di una strada, è ingurgitare passione, è un inevitabile, piacevole, inebriante stordimento. Nei suoi paesaggi la terra parla di quella Sicilia che più volte ho attraversato abbandonando la mano fuori dal finestrino al vento dello scirocco che secca le zolle, annerisce il terreno, fa volare le spine sottili, invisibili dei fichi d’india, rende desertico l’asfalto e lascia spazio all’immaginazione più struggente, profonda, sfavillante di ingarbugliate sensazioni. Per tutti i sentimenti che vorrei nascondere e che riempiono il mio cuore, i miei occhi di commozione, lacrime, gioia per ciò che ho conosciuto vissuto sofferto torno a riguardare le sue fotografie ciclicamente. Ad esempio le feste religiose, Marpessa, Leonardo Sciascia, Borges, Quelli di Bagheria, l’Iran, l’India, Altrove.
Naturalmente è nelle immagini del sud che ritrovo lo stesso vissuto di quando da bambina fino alla maggiore età tutte le estati andavo con i miei genitori in Sicilia, ad Aidone, un piccolo delizioso paesino a 700 metri sul livello del mare vicino a Piazza Armerina. Ecco quindi che attraverso le fotografie di Ferdinando Scianna ritrovo lo stesso sguardo, gli stessi sentimenti di allora intrisi di dolcezza, di incanto verso l’estetica di questa terra con i suoi paesaggi morbidi, scuri con i suoi personaggi tipici, unici nelle loro identità pirandelliane. Una terra negli anni ’60 povera, ricca di niente se non di stessa quanto basta per farsi del bene e del male nello stesso tempo. Pur bambina i ricordi dei bambini a piedi scalzi che attraversavano la strada senza guardare, che giocavano spavaldi sempre nelle vie nascoste ma assolutamente vigili degli sguardi delle donne dietro alle persiane mentre cucinavano salse, pane, pasta, arancini e piatti dai sapori dolci e peccaminosi.
Nelle sue foto come non commuoversi di fronte alle figure delle feste religiose ammorbidite dalla luce dei ceri o dal sole calante che lascia intuire sagome, riti, benedizioni, preghiere e tutto il sottofondo di rumore dei passi, dei pensieri, delle confessioni nascoste. Come non gioire di fronte alla bellezza naturale, spontanea, genuina di Marpessa. Una modella non modella, un corpo al quale i vestiti dal tipico stile meridionale si avvolgono con una semplicità sorprendente senza bisogno di trucchi, pose da acrobata ma solamente quel leggero movimento del corpo in totale armonia con quello della gente del sud, del macellaio, del barista, dei bambini, delle donne sempre vedove e sempre composte. Lo sguardo di Marpessa, il suo volto, le sue espressioni sono lì mescolate ai sentimenti dei siciliani che nelle immagini fanno rivivere, a me, l’emozione del piacere mista a disagio degli sguardi degli uomini, di quello giudice delle donne, di quello smaliziato dei ragazzini. In Sicilia non si passava inosservati e le foto di Scianna fanno capire che si è sempre sul palcoscenico della vita a giocare a fare l’attore di stesso, per stesso, per gli altri. Marpessa recita con l’incanto di una vergine che si abbandona all’istinto e alle indicazioni del regista fotografo.
Ho avuto il privilegio di lavorare con Ferdinando Scianna per un famoso calendario e in quel momento si è avverato il sogno da ragazza: vederlo fotografare, scegliere le inquadrature, scrutare la scena del racconto della fotografia. Eh sì le sue fotografie lasciano immaginare fantasie, racconti di vita, di storie magari lette nei libri di Sciascia, di Pirandello o semplicemente immaginate nei sogni, nella nostra mente.
Vederlo fotografare è stato sorprendente. Si appropria della scena, si lascia incantare dai movimenti, insegue la luce, l’ombra, non so…insegue l’atmosfera carica di attrazione: sempre. Seduce con le madonne, con le donne, con i cani, con la povertà, con il dolore. Ferdinando Scianna è un seduttore che filtra attraverso la sua poesia il mondo per quello che è, che non è, che finge di essere, che sembra vero, che è vero, che forse potrebbe esserlo. Lascia ricordare, riportare alla luce le intimità più nascoste dei nostri pensieri. È semplice per lui che pensa in continuazione, legge, scrive, parla con quell’accento siciliano dall’alto della sua filosofia che ha fatto sua della vita. Da fedele innamorata di una fotografia iconica per la mia generazione, continuerò a seguire le sue fotografie, i suoi scritti, le sue mostre, le sue certezze, le sue contraddizioni e le sue meraviglie.
Tiziana Bonomo