Krzysztof Miller è in mostra all’IMP, International Month of Photojournalism di Padova dal 4 al 28 giugno 2021 insieme a grandi e famosi fotoreporter conosciuti a livello internazionale.
Chi è e come è arrivato fino a questo Festival questo fotoreporter polacco ancora così poco conosciuto in Italia? Krzysztof Miller è stata una scoperta che mi ha dato emozione e dolore Nel 2017 ho partecipato alla presentazione del libro di Wojtek Jajelski “Vagabondi notturni” sui bambini soldato in Uganda e ho appreso che il suo amico collega Krzysztof Miller compagno di molti reportages si era tolto la vita l’anno prima. Allora soffro. Improvvisamente. Un dolore acuto al petto, un brivido di assenza. E così decido di sfogliare la vita di Miller, così brutalmente appesa a quella morte voluta, scelta: le sue fotografie, i suoi filmati, le interviste che gli avevano fatto. Tutto questo per capire il significato di quel gesto. Così nell’immagine dell’armeno, in Nagorno Karabakh, vicino al cannone, si avverte che il rumore dello sparo è sovrastato dal silenzio. Il silenzio di quell’uomo che continua a combattere una battaglia che forse mai riuscirà a vincere. Anche nell’immagine dei tre bambini malnutriti con la testa reclinata in avanti, con le braccia appoggiate alle gambe seduti sullo scatolone dell’UNHCR, ci investe il devastante silenzio, con tutta la sua impietosa vergogna, di chi non ha nemmeno più la forza di pensare. In quella postura c’è tutta la fame del mondo, c’è tutto il silenzioso dolore di chi sta per morire di fame. I bambini sono nel campo profughi per gli Hutu ruandesi in Zaire (odierno Congo) a 95 chilometri dalla città di Kisangani, Ancora silenzio nella espressiva posa di un ragazzino profugo georgiano sulle montagne del Caucaso che si volta verso il fotografo con il kalashnikov messo di traverso quasi più grande di lui. Il bambino tiene la mano di un uomo adulto e si percepisce distintamente che altro non può fare se non subire silenziosamente il suo destino di profugo. Ma profugo bambino. Gli ingredienti che hanno fatto soffrire Krzysztof del disturbo da stress post traumatico sono questi: dolore, silenzio, paura. Un peso troppo grande per un uomo. E questo lo ha portato alla decisione di uccidersi.
La mia commozione di allora si è tramutata nel desiderio di far conoscere attraverso le immagini questo uomo, fotoreporter polacco, la sua fragilità, la sua sensibilità che altro non sono se non particelle della nostra essenza. Rilasciare sensibilità per alcuni è un processo inarrestabile fino alla morte. Per questa ragione allora ho pensato: cosa posso fare io se non raccoglierla con delicatezza e proteggerla per farla conoscere? Perché merita di essere conosciuta soprattutto quando produce così tanto con così tanta convinzione, coraggio di voler raccontare, di voler far sapere, di testimoniare. Arriva poi un momento in cui tutto appare chiaro.
Ho visto bene. Ho saputo leggere la bravura di Miller. Ne è testimone il libro uscito nel 2017 “Fotografie che non hanno cambiato il mondo” di Miller, con i suoi scritti e con l’introduzione di Wojtek. Ancora di più al Museo di Storia di Varsavia nel 2018 è stata allestita una mostra con le sue immagini, oltre 100. E forse le mie interviste, la mia indagine, la prima mostra curata a Torino nel 2019 grazie all’aiuto di tante persone come la direttrice di fotografia, Beata Sokół di Gazeta, come il consolato di Polonia in Milano e quello di Torino, e giornalisti e amici. E mi piace immaginare che forse le parole e le indagini su Krzysztof hanno stimolato inconsciamente il Premio inedito a suo nome “The Krzysztof Miller Prize”. E adesso finalmente le sue fotografie sono, dal 4 giugno, a Palazzo Moroni a Padova grazie al direttore artistico Riccardo Bononi che ha accettato di inserirle nel programma del suo straordinario festival: IMP. Il primo festival interamente dedicato al fotogiornalismo. Andiamo a Padova e in silenzio tratteniamo la commozione, la rabbia, l’impotenza pensando a quanto Miller e tanti reporter come lui, con immagini e parole, ci fanno capire di questo mondo. Poi scateniamo però la nostra energia e la nostra preghiera.
Tiziana Bonomo