ArtPhotò

In prima linea. Donne fotoreporter....

Sono passata l’altro giorno, verso la fine dell’inaugurazione, alla mostra delle 14 donne fotoreporter che raccontano la guerra. Avrei voluto partecipare professionalmente tantissimo a questa iniziativa ma, come molte altre in cui credo, non mi è stata data la possibilità accusandomi di voglia di protagonismo. Mi è sinceramente dispiaciuto perché pensavo fosse un’opportunità per far acquisire consapevolezza sulla guerra e sul modo di rapportarsi a un tema così tragico grazie al coraggio delle donne. La visione “al femminile” la trovavo interessante per il fatto che spesso si legge e/o si ascolta la voce “al maschile”, a sostenere la tesi che per l’uomo è più facile essere coinvolto ed è più semplice riuscire ad affrontare situazioni di pericolo, di disagio. La voce al femminile pensavo potesse ridestare maggiormente le nostre anime forse per una visione più sensibile e per una maggiore predisposizione e vicinanza nella comprensione del dolore delle madre e dei bambini. Pensavo sarebbe stato straordinario sentire le loro voci e capire come riescono a farcela ma soprattutto come sono riuscite a crearsi quella consapevolezza e quella coscienza che le fa affrontare il coraggio, uscire dalle mura domestiche, affrontare situazioni fisiche e psicologiche a cui forzatamente l’uomo può essere, per cultura ed educazione, più predisposto. Mi sarei immaginata dialoghi ed incontri, strette di mano e voci che raccontano e magari un messaggio forte, comune, profondo, insomma un messaggio al femminile di pace e di cura verso i nostri simili che vivono situazioni disperate. Sarò forse arrivata tardi , ore 19.15, e quindi avrò perso il piacere di fare conoscenza ma quando sono uscita dal giro dell’esposizione ho provato un senso di smarrimento e incomprensione. Eppure il titolo è esattamente ciò che promette la mostra: una sequenza, di ogni fotoreporter, ognuna nella propria cella espositiva, di immagini di varie situazione di guerra.E allora? Cosa mi vuol comunicare? Che sono tutte delle wonder woman! Che sono tutte brave e coraggiose, che loro hanno le palle. Che sentimento dovrei provare? Verso di loro o verso il loro lavoro? Tutte intelligenti, con grandi riconoscimenti, tutte coraggiose e tutte brave.Bene se questo era il loro messaggio allora bene, si brave e poi? Ogni giorno vedo immagini come quelle esposte a Palazzo Madama sui quotidiani, on line, sui blog e siti di ogni genere che parlano di povertà, guerra, migrazioni, morte e distruzione.
Cosa mi aggiunge questa mostra?’ Se deve essere l’ennesima riprova che anche le donne sono brave credo che non sia necessario smuovere giornaliste dai loro più importanti impegni rispetto a quello di presenziare ad un mostra a Torino. Se deve essere quello di farci accorgere che c’è la guerra direi che mi sembra leggermente superfluo allestire una mostra con 5 scatti per ogni brava wonder woman: basta leggere il giornale tutte le mattine. Se deve essere una abilità fotografica penso che gli scatti scelti non siano i più sensazionali, come linguaggio di comunicazione, del loro intenso e complicato lavoro; inoltre i social traboccano di immagini di pazzi che amano il brivido della paura o lavorano al computer per produrre immagini scioccanti. L’impressione è di una piccola enciclopedia al femminile di tutte le capacità e i riconoscimenti delle 10 elette fotoreporter. E tutte le altre? E gli uomini? Sono da meno? Per lanciare una mostra, realizzare un progetto non basta l’idea ma anche la capacità di costruire un messaggio forte e mirato, che smuova le coscienze e procuri emozioni in grado di creare delle svolte di vita al nostro cammino quotidiano. La fotografia ha il suo senso e la sua capacità di narrare quando c’è un progetto con un intento definito e non semplicemente mettere insieme le prime della classe che pur rischiando la vita sembrano lì a giocare a fare le brave fotoreporter.
Tiziana Bonomo

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