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Krzysztof Miller

Come sono arrivata a Krzysztof Miller?
Mi trovavo a Il Circolo dei Lettori all’inizio della primavera del 2017 alla presentazione di un libro di Wojtek Jagielski, giornalista e scrittore polacco, sui bambini soldato in Uganda. Ad un certo punto l’autore esprime il suo disagio per l’assenza del suo compagno di lavoro, un fotoreporter polacco, che l’anno prima si era….. suicidato. Ho avuto un mancamento. Possibile? Ho capito bene? Chiedo a Wojtek precisazioni. Il suo amico, collega si chiamava Krzysztof Miller, fotoreporter polacco, aveva sofferto a lungo del disturbo da stress post traumatico. Mi occupo di fotografia per me l’espressione del nostro essere reale o immaginario. Conosco alcune vite di grandi fotoreporter famosi nel mondo e di quelli più giovani. Conosco la tragica fine di molti morti in guerra. Mai avevo sentito o meglio mai avevo voluto affrontare la situazione di qualche fotoreporter si fosse tolto la vita. È stato spontaneo cercare di capire il perché di quel gesto e soprattutto doveroso, per me che mi occupo di fotografia conoscerlo, porgere uno sguardo al suo lavoro, dargli un saluto, il mio saluto. La ricerca su internet mi ha portato subito al suo volto segnato dal vuoto. Dolore. Poi ho visto il primo video, fatto da lui, di sue immagini scattate in Africa, in Afghanistan, in Bosnia e in altri paesi immersi in guerre, in conflitti. Dolore. Ho ripreso fiato e oltre al dolore c’era la commozione più profonda, più sincera per quelle immagini silenti della tragedia. Ho avuto la sensazione che Miller fosse andato così vicino alle persone cercando di catturare i loro pensieri, le loro sensazioni. Lui ha fotografato la solitudine della mente, l’urlo silente di chi sa che in quel momento il suo destino è bloccato lì, è intrappolato disperatamente lì. L’urlo di Munch è sonoro, si sente. La disperazione degli uomini fotografati da Miller è sotterranea è dentro allo scatto come se Miller si fosse insinuato nella mente degli uomini. No paesaggi Caravaggeschi, no immagini rinascimentali solamente fotografie sentite con la sua sensibilità, con la sua sofferenza di uomo fotoreporter nell’atto di guardare, capire, di far conoscere. Inizia in questo modo il lungo cammino per "conoscere" Krzysztof Miller. Inizio chiamando lo scrittore Wojtek Jagielski che mi fa sapere con quale agenzia lavorava Miller: Gazeta Wiborcja. Prendo i primi contatti. Voglio sapere, vedere le sue immagini. Scopro altri video di Miller. Prendo contatti con Ulrico Leiss di Leimburg, il console onorario di Polonia a Torino La catena si allunga e nelle mie conoscenze arrivo al famoso giornalista Luigi Geninazzi che mi racconta della Polonia e soprattutto di Gazeta. Come spesso accade nel mio lavoro mi innamoro.
Mi innamoro di questo uomo polacco, della sua fragilità, della sua sensibilità.particelle della nostra essenza. Rilasciare sensibilità per alcuni è un processo inarrestabile fino alla morte. Cosa posso fare io se non raccoglierla con delicatezza, proteggerla per farla conoscere. Perché merita di essere conosciuta soprattutto quando produce così tanto con così tanta convinzione, coraggio di voler raccontare, di voler far sapere. Arriva poi un momento in cui tutto appare chiaro. Ho visto bene. Ho saputo leggere la bravura di Miller. Ne è testimone il libro uscito nel 2017 “Fotografie che non hanno salvato il mondo” di Miller, con i suoi scritti e con l’introduzione di Wojtek. Ancora di più al Museo di Storia di Varsavia lo scorso anno è stata fatta una mostra KM 1989 con le sue immagini, oltre 100. E forse le mie interviste, la mia indagine hanno stimolato inconsciamente il Premio inedito a suo nome appena uscito nell’autunno del 2018. “The Krzysztof Miller Prize”.
Sono andata a Varsavia e ho conosciuto Anna del Museo di Storia e i suoi colleghi, ho conosciuto Beata dell’agenzia Gazeta, ho conosciuto alcuni amici di Miller. Ho conosciuto anche Varsavia. Sono tornata e grazie all’aiuto di tutte queste persone e al sostegno del Consolato Generale di Polonia di Milano decolla la prima mostra di Krzysztof Miller in Italia, a Torino. L’attenzione di Alessandro Ajres organizzatore responsabile di Slavika Festival mi consente di inerirlo nel suo programma. E l’aiuto amichevole e professionale di Luigi Geninazzi consente anche un convegno! Incredibile. Krzysztof Miller scrive:"centinaia e migliaia di fotografie che ho fatto nella mia vita non sono mai state utilizzate, ciascuna racconta un dramma di qualcuno, mi basterebbero per le pubblicazioni fino alla fine della mia vita. So che restano nel grande archivio dell’agenzia Gazeta…non è che vengano coperte di polvere ma con il passare del tempo si rimpiccioliscono gli eventi che ho registrato, perdono di significato e ci sono sempre meno motivi per tornarci e farli ricordare. Il mio cuore soffre per il fatto di non poterle fare vedere. Me ne frego completamente se il cielo è più chiaro o più scuro, se il filtro è quello giusto oppure se il bianco è più bianco o meno bianco a dire la verità conta il tema soprattutto nella fotografia di reportage dove conta esattamente quello che succede davanti all’obiettivo".[/i]Krzysztof si è tolto la vita con la macchina fotografica al collo. Che cosa spero? Spero di aiutare Miller, come simbolo di tutti i reporter, a suscitare sensibilità sulle vicende umane affinché le foto non rimangano negli scatoloni e ognuno di noi acquisisca un sapere in più utile ad essere più consapevole nelle nostre scelte civili e ad avere sempre più rispetto per loro, per tutti i reporter, che il mondo ce lo fanno conoscere.
Tiziana Bonomo


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