Ecco una foto famosissima. In questi giorni di grande tensione internazionale, rinchiusa nella mia campagna a cercare spunti per scrivere ho ritrovato questa immagine che proprio Giorgio Lotti mi regalò tantissimi anni fa. Nella presentazione di un calendario Giorgio Lotti si avvicinò con aria modesta e gentile per offrirmi una sua immagine e all’epoca ero meno esperta di cultura fotografica.
La Cina oggi è un protagonista influente nella scena mondiale e Giorgio Lotti che così bene ha contribuito con questo ritratto a restituirne il fascino e la storia meriterebbe un riconoscimento maggiore. Penso sia giunto il tempo di riparlare con forza e profondità del suo lavoro. Ho recuperato un testo di Attilio Colombo su questa immagine: “La Cina di Lotti è per me il ritratto di Zhou EnLai e credo valga la pena di raccontare la storia di questa famosa fotografia, premiata con il The World Understanding Award negli Usa e pubblicata in quasi tutti i libri di storia di fotogiornalismo e diventata il ritratto ufficiale del primo ministro cinese. Successe tutto nel giro di pochissimi minuti, durante un viaggio di stato di Giuseppe Medici allora ministro italiano degli affari esteri nel 1968. Dopo la foto di gruppo e prima del pranzo ufficiale Lotti chiede a Zhou EnLai di concedergli una foto: solamente due scatti senza la possibilità di misurare le pessime condizioni di illuminazione. La grande esperienza del fotografo di agenzia gli consente di impostare rapidamente 1/8 di secondo per un diaframma 2,8. Poi mentre Zhou EnLai era seduto per il ritratto avvenne un imprevisto: qualcuno lo chiamò. Zhou EnLai si volta. In quel momento nasce un capolavoro nella storia del ritratto”.
Cosa rende questo ritratto un capolavoro? L’impenetrabilità, la Storia della Cina, il maoismo, la rivoluzione culturale, il grande balzo in avanti, utopie indecifrabili per chi non ha partecipato alla loro messa in scena: tutto è condensato in questa immagine. Non sempre la politica si spiega con la politica, talora serve una fotografia. La Cina come luogo letterario e politico, sfera di leggende e archeologie, muraglie e pagode, comunismo e capitalismo confuciano.
Il vestito di Zhou EnLai, per esempio: il simbolo del maoismo. I cinesi erano tutti vestiti con la stessa divisa, da Mao fino agli ultimi degli operai, soltanto era consentita qualche variazione di colori, verde militare o blu o grigio. La divisa maoista nel concetto (o nella mistificazione) di uguaglianza anche .... sartoriale. C’è qualcosa in questo ritratto che arriva da immensamente lontano dai Qin, dagli Han, da una civiltà millenaria. Zhou EnLai ‘’l’ombra di Mao’’, che per obbedirgli si lasciò morire di cancro, rappresentava, quando è stato fatto lo scatto, il passato e il presente della Cina che ha cambiato il mondo pur rimanendo profondamente cinese.
Ma chi era Zhou en Lai e di quale periodo storico stiamo parlando?
Uomo politico cinese nato a Jiangsu nel 1898 fino al 1976: comunista e sostenitore di Mao Zedong, guidò l'alleanza (1937) tra il suo partito e i nazionalisti nella guerra contro il Giappone. Divenuto nel 1932 commissario politico dell'Armata rossa, quindi vicepresidente del Consiglio militare rivoluzionario, partecipò (1934-35) alla lunga marcia verso Yan'an. La lunga marcia portò Mao a diventare capo della rivoluzione e diede a tutti i comandanti e a tutti i partecipanti, tra cui Deng Xiaoping, Zhou en Lai e altri un'aura e un prestigio duraturo, prese nel 1948 Pechino e fondò l’esistente Repubblica Popolare Cinese.
Ma torniamo a Zhou EnLai che fu ministro degli Esteri e primo ministro della Repubblica Popolare di Cina famoso pragmatico che contribuì all'uscita del paese dall'isolamento internazionale recuperò un ruolo di primo piano con la successiva stabilizzazione moderata, ma non fece nulla per impedire le stragi della Rivoluzione culturale. La sua influenza fu determinante sulla politica estera cinese degli anni Settanta, in particolare con la svolta del 1971-72 (rottura dell'isolamento internazionale e ammissione alle Nazioni Unite, avvio del processo di avvicinamento agli USA). Ma prima della “Rivoluzione di Mao” c’era il celeste impero – detto “celeste (cioè, del cielo), perché l'imperatore era considerato di origine divina – idealizzato dagli Illuministi parigini che vi cercavano il potere dei Letterati ma odiato da Rousseau: ‘’popolo letterato ma vile, ipocrita ciarlatano, furbo e briccone che tutto converte in etichetta, tutta la morale in smorfie e non conosce altra moralità che le riverenze’’. La cultura di questo grande impero lo avvertiamo nel ritratto di Zhou EnLai per la sua fierezza, il suo atteggiamento. Anche nella candida tazza da the, unico elemento bianco insieme al lembo della camicia, in mezzo al nero della foto. Sappiamo che la casualità della posa premia il lavoro di Giorgio Lotti un fotografo che aveva come motto: “capire prima di fare”. Lotti ha sempre intrapreso un progetto fotografico ricercando nella documentazione, leggendo articoli, rapporti, inchieste. Alla fine così preparato, iniziava ad affrontare fotograficamente il problema. E così, come preparazione e come scrupolo professionale, per ogni suo lavoro. Come questo lavoro in Cina che non si limita al ritratto che ho invitato a leggere con me ma ad un ritratto più esteso di un popolo impastato di tradizione e di slanci verso il futuro, è la storia interiore che ‘riabilita l’uomo’, come ha scritto Raffaello Uboldi presentando ad Epoca la cartella di fotografie che Lotti ha dedicato al paese prediletto.
Un ritratto apparentemente banale che si riveste – per il nero che avvolge il soggetto protagonista – di mistero. Il volto austero, con sopracciglia folte e nerissime come i capelli, sembra scrutare nell’oscurità del mondo. Una mano, quella vicina alla tazza del the, rilassata mentre l’altra appoggiata alla poltrona come pronta per reggere uno scatto improvviso, un’alzata inaspettata. La tazza del the: il passato. Lui: il presente.
Anche la porcellana cinese è ammantata dal mistero per il corpo bianco, duro, traslucido, sonoro e impermeabile poiché l’esclusività della sua produzione si conservò per lungo tempo in Cina fino a quando fu prodotta anche in Europa all’inizio del XVIII secolo.
Un presente ancora esistente che sembra scrutare il mondo con il mistero che contraddistingue lo sguardo di Zhou EnLai.
DIDASCALIA © Giorgio Lotti Ritratto di Zhou EnLai, Palazzo del Popolo, Pechino, 1973
BIOGRAFIA GIORGIO LOTTI
Giorgio Lotti nasce a Milano nel 1937.Inizia a lavorare nel 1957, collaborando come free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali “Milano Sera”, “La Notte”, “Il Mondo”, “Settimo giorno”, “Paris Match”. Nel 1964 entra nello staff di Epoca sotto la direzione di Nando Sampietro dove rimane fino al 1997, anno di chiusura del giornale. Ha lavorato fino al 2002 a Panorama. Nel 1973, per un reportage fatto in Cina viene insignito, dalla University of Photojournalism, Columbia, del premio “The World Understanding Award”. Ha partecipato inoltre a numerose edizioni del Sicof a cura di Lanfranco Colombo. Nel 1995, nel corso del 16° Sicof viene premiato con l”Horus Sicof 1995” per il ruolo svolto nel campo della fotografia italiana. E’ stato premiato dalla città di Venezia per i suoi reportages sulla Serenissima. Nel 1994, a Modena, riceve il prestigioso premio letterario “Città di Modena”. Alcune immagini sono conservate nei musei americani, di Tokio, Pechino, al Royal Vìctoria Albert Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’università di Parma, alla Galleria Civica di Modena. Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla ricerca fotografica nel campo del colore e dell’arte.
Pubblicazione Phocus Magazine 26 ottobre 2024 https://www.phocusmagazine.it/la-cina-di-lotti/