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Fotofinish

Articolo scritto per il libro "Fotofinish" di Amilcare G. Ponchielli
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Fotofinish un libro piccolo come una mano, curioso, imprevedibile. È incessante, durante la lettura, il desiderio di voler scoprire a quale fotografo, su quale libro, mostra o esperienza personale Amilcare Ponchielli ha dedicato il suo racconto. Instancabile la continua seduzione delle parole e delle immagini dell’eclettico photo-editor italiano così unanimemente apprezzato e riconosciuto dal mondo della cultura.
Il suo continuo incedere nella vita con frammenti della sua di vita, attraverso la fotografia, è una pratica, un rituale che mi appartiene. Condivido totalmente il desiderio incessante di avanzare e fermare, di proseguire e bloccare, di vivere e catturare con le immagini e le parole ciò che viene accolto dal nostro essere, dalla nostra sensibilità. Le continue emozionanti sequenze di storie, raccolte in Fotofinish, sono incessantemente avvolte dalla bellezza. La bellezza innata all’ impercepibile essenza di Ponchielli. Ho letto con avida curiosità tutto il compatto diario così ben curato, con una ricercata scelta iconografica di Giovanna Calvenzi, una supervisione editoriale, quella di Laura Incadorna che ha prodotto un “photo book” finemente impaginato, facile da trasportare e leggere in qualsiasi luogo. Ho gustato a pieno il sapore dei tanti brani raccolti condividendo e scoprendo ciò che da sempre inseguo nel significo che ha per me il termine “fotografia”. Ho sentito crescere l’emozione quando ho letto con quale orgoglio Ponchielli recupera la sua esperienza personale attraverso il ricordo dell’infanzia nell’immagine di Robert Capa (Londra pag 16) così come per me, scoprire nel testo di Vittorini, con la foto di Giuseppe Leone (Monreale, pag.96) il riferimento ad Aidone, paese sconosciuto della Sicilia, il paese di mio padre. Ho condiviso l’amore per Glenn Gould (Gordon Park, pag 101), ho sofferto, come ormai soffro sempre più, guardando l’immagine di Turley (Zaire, pag 109-111), ho riso come una matta sulla intiutiva e geniale annotazione su Salgado (Dhanbad, India pag.14): “ha fatto un sogno: essere un fashion photographer reporter. Scusate l’inglese”. Un brivido di nostalgia, avendolo conosciuto, all’innata delicatezza di Albert Watson (Elisabeth Harley, pag 112-113) che trapela nel racconto e nel ritratto di Elisabeth. Sempre con garbato equilibrio Ponchielli esprime le proprie convinzioni. Il Porto di Genova di Gianni Berengo Gardin (Porto di Genova, pag 128) è l’occasione per denunciare il vizio, tipicamente italiano, “di attaccare le forze creative rimaste in questo paese” e nell’immagine metafisica di Herbert List (Atene, pag. 230) di evidenziare la perdita di quella vitalità culturale che contraddistingueva Milano negli anni ’70 e ancora con Flor Garduno (Tulancingo Messico, pag 220) di sottolineare l’indifferenza e l’insofferenza che lui abilmente definisce “pulizia-etnica-mentale” e la capacità di un popolo come quello degli indios che non odia ma riflette.
Ciò che più impressiona è lo sguardo eclettico e la curiosità smisurata di Ponchielli per qualsiasi fotografia, per qualsiasi tema della vita riconoscendo sempre quanto è difficile saper fotografare! Non a caso restituisce a Maurizio Buscarino (Santarcangelo di Romagna pag. 254) la capacità di essere il testimone visivo, il critico di una ricerca interiore, da più di vent’anni, di quella “espressività inespressa” che è riuscito a restituire a noi con la sua abilità. Quanti riescono come John Vink (Kapikule Turchia, pag 20) a comunicare con quella poetica fotografia tutta la “crudeltà di un mondo che ha perso la propria dignità”. Dedica ad Art Kane (pag. 40) la considerazione che è stato l’unico, nel 1957, in un’unica immagine, a riunire 57 famosi jazzisti nel più conosciuto quartiere negro di NY! Ponchielli continua a citare fantastiche esperienze visive a continua dimostrazione di quanto è complesso “fare fotografia”. Quante sono le foto come quella di Man Ray (Le violon d’Ingres, pag 36) di cui possiamo dire “hanno 70 anni ma non le dimostrano”? La ricerca è un tema spesso ignorato ed è imprescindibile per generare una fotografia innovativa, per creare immagini che pochi sanno fare come in “Illuminazioni artificiali” di Olivo Barbieri (Pisa, pag. 44) sintesi di un’indagine durata più di dieci anni sul paesaggio urbano di notte. Che dire della ricerca della luce di Weegee, il più grande fotoreporter di nera degli anni 40, che lui chiamava “la luce Rembrandt” (Marilyn Monroe, Los Angeles pag. 90). Ponchielli si complimenta con i fotografi. Descrivere il lavoro di Massimo Siragusa e afferma, è “nata una stella” per avvalorare tutta la professionalità di un fotografo che con il reportage “Bisogno di Miracolo” è riuscito a vincere un World Press Photo con. E quanti riescono come Davide Mosconi a suscitare quello che scrive Ponchielli (Drawing Air, pag 154) “Quando vedo il suo lavoro, sento il suono uscire dalle immagini e rompere il silenzio circostante: e il suo sguardo fisso verso l’alto, congela l’infinito racconto delle nuvole”. Tante storie ritroviamo in Fotofinish alcune poco conosciute come quella di “Raw Nudes” di Rankin (pag. 232). Il pretesto per creare, per esprimere l’irrefrenabile voglia di comunicare nuove idee, nuovi pensieri con la fotografia.
Grazie Amilcare Ponchielli. Grazie Mariuccia Ponchielli.

Tiziana Bonomo maggio 2018

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