Una foto e una frase da leggere. Questa volta è la frase che mi appare come una fotografia. Così definita, precisa: “c’è sempre una affascinante luminosità bianca nel vento delle nuvole e nei riflessi del mare”. Mi sono fermata nella lettura del libro di Ottiero Ottieri “Donnarumma all’assalto” quando sono arrivata a questa frase, come paralizzata! Ho pensato a quante volte ho guardato il mare e ho pensato esattamente a questa frase e quante volte ho guardato il mare con tutta la sua luminosità e ho scattato una foto. Immediatamente ho chiesto a mia figlia di darmi una sua fotografia che rappresentasse esattamente questo testo. Eccola la luce affascinante che si deposita sulle nuvole in movimento e sull’acqua increspata dal vento. Quanto riesce l’immagine a fermare il piacere di quel momento? Il piacere che si ripete ogni volta che siamo di fronte all’incanto della natura. Lo stesso incanto che la fotografia ci restituisce ogni volta che riguardiamo quella immagine come a sentire di essere ancora lì fermi ad osservare una scena meravigliosa che penetra nella nostra intimità.
Avrei potuto scegliere l’immagine di un autore famoso ma volutamente ho chiesto a mia figlia per sottolineare come alcune immagini – meno perfette tecnicamente, meno impostate professionalmente – fanno parte di un procedimento “pop” che appartiene a molti di noi. Vedo un bel paesaggio in un momento di vita intriso da una bella atmosfera e lo fotografo. Ecco mi serviva la foto da leggere che probabilmente, con inquadrature simili, appartiene a milioni di altre persone. È la frase invece che ha la capacità nel suo stile unico di restituire quella vibrazione che ritrovo nella foto.
Ottiero è uno scrittore straordinario nell’uso di un linguaggio così fresco spontaneo naturale da far vivere ciò che provoca la fotografia che mi appare dalla sua descrizione. Il protagonista del libro si trova insieme ad una sua collega, come responsabili del personale in uno stabilimento a Napoli, per fare eseguire i test di ammissione ad alcuni candidati. A tratti entrambi si incantano a guardare fuori dalla finestra e Ottiero scrive: “Questo paesaggio, visto da dentro, chiusi nel dovere, questo panorama è come la faccia di una bella persona: ci si volta di scatto, di nascosto, a guardarlo. C’è sempre una affascinante luminosità bianca nel vento delle nuvole e nei riflessi del mare’”.
Il mio pensiero è immediatamente andato ad una fotografia come se per arrivare a percepire le sensazioni di questo panorama dovessi passare prima da una immagine. Solamente in un secondo tempo ho sentito il rumore del mare e del vento ma prima ho visto una, due, cento fotografie con quella luminosità bianca!
Altre volte mi è capitato di guardare un paesaggio e di pensare che lo avevo già visto in qualche fotografia. Anzi di più: è la fotografia che mi ha fatto scoprire alcune parti del paesaggio davanti a me che forse non avrei guardato! La ricezione di tante immagini arriva a condizionare la memoria visiva. Questo credo valga per le immagini così come per le parole.
E poi nel racconto emerge la forza persuasiva della luce che come scrive John Berger: “l’attrazione che esercita la luce, come fonte di energia sull’occhio e sull’organismo è fondamentale. L’attrazione che esercita la luce sull’immaginazione è più complessa, perché coinvolge la mente nella sua globalità ... Noi reagiamo alle modificazioni fisiche della luce con modificazioni nette, anche se infinitesimali, dello stato d’animo: buonumore o depressione, speranza o timore”. In questo caso, nel libro, la speranza offerta dalla visione della luce sul mare è in contrapposizione alla situazione di disagio e di grave difficoltà sociale dei candidati presenti nella stanza. Eppure siamo di fronte al racconto di una fabbrica, voluta da Adriano Olivetti che all’ inaugurazione dichiara con la sua voce fredda e rapida: “così, di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto alla bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno ..... Abbiamo voluto anche che la natura accompagnasse la vita della fabbrica. La natura correva il pericolo di essere ripudiata da un edificio troppo grande, nel quale le chiuse muraglie, l’aria condizionata, la luce artificiale , avrebbero tentato, direi, di trasformare giorno per giorno l’uomo in un essere diverso da quello che vi era entrato, pur pieno di speranza”.
Per me questa frase e questa immagine sono di conforto, mi scaldano il cuore, mi aiutano a capire il testo di Ottieri che con la sua esperienza in Olivetti mi fa conoscere la Napoli negli anni ’60, la vita complicata, le difficoltà e la cultura disordinata dei napoletani. E come diceva Adriano Olivetti con il conforto della bellezza di una o più fotografie.